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Avvio lento per i cantieri

di Cristiano Dell'Oste e Saverio Fossati

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9 novembre 2009

Quando l'attività legislativa ha incontrato il blocco estivo, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sui piani casa regionali. Invece in autunno sono venute alla luce diverse leggi e ormai il quadro è quasi definito: 16 su 21 tra regioni e province autonome hanno legiferato. E venerdì scorso il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, ha annunciato l'intenzione di convocare a palazzo Chigi tutti i governatori ritardatari per un «redde rationem».
Nonostante gli ultimi passi avanti, però, sono ancora poche le regioni che dispongono di tutti gli strumenti normativi necessari per poter presentare le Dia per gli ampliamenti o chiedere i premessi di costruire per demolizioni e ricostruzioni. Le leggi regionali necessitano quasi sempre di delibere attuative, e di solito lasciano ai comuni da 45 a 90 giorni di tempo per pronunciarsi.

Proprio per questo, la prima considerazione da fare è che si allungano di parecchio i tempi idealmente previsti per rimettere in moto i cantieri edili, duramente colpiti dalla crisi. «La ricaduta positiva sulle imprese ci sarà, ma non sarà così rapida come sarebbe servito», commenta Claudio De Albertis, presidente di Assimpredil, l'associazione dei costruttori milanesi.
Il fatto che finora siano state presentate pochissime domande, dunque, non vuol dire che il piano casa sia un fallimento. Lo sottolinea anche Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente, associazione tra le più dure nel condannare alcune leggi ritenute troppo permissive nei confronti di parchi e zone costiere: «È presto per fare un bilancio sulle ricadute delle leggi». Piuttosto, lamenta Zanchini, il rischio è l'assenza di pianificazione: «L'idea di "densificare" il tessuto urbano è corretta, ma se lo si fa lasciando mano libera ai proprietari di ville e palazzine, si sceglie di fatto di perseguire una non-politica nel governo dello sviluppo urbano».

Considerando che i committenti avranno bisogno di tempo per preparare i progetti e presentarli ai comuni – e magari reperire eventuali finanziamenti – gli effetti economici e urbanistici si faranno sentire solo dalla seconda parte del 2010. E dato che le leggi di solito assegnano 18 o 24 mesi per presentare le domande, c'è già chi lamenta tempi un po' troppo compressi. Anche se diverse regioni, per la verità, prevedono alcune misure "permanenti", come la procedura per ingrandire i capannoni in Emilia Romagna.
Un'altra ragione oggettiva di lentezza va cercata nell'assenza del decreto legge di semplificazione delle procedure edilizie, bloccato dalla scorsa primavera (e di fatto dimenticato) in conferenza Stato-Regioni. «Nelle intenzioni del governo questo provvedimento doveva accompagnare le leggi regionali, e oggettivamente se ne sente la mancanza. Le procedure sono ancora troppo lente», rileva De Albertis. Qualche regione, come il Piemonte, ha introdotto con la legge anche delle semplificazioni procedurali. Ma la sostanza resta quella di una normativa spezzettata in una miriade di regole locali.

Nel frattempo, avanza faticosamente "l'altro" piano casa, quello che punta a realizzare in cinque anni 100mila nuovi alloggi per le famiglie a basso reddito. Giovedì è in calendario il primo incontro ufficiale del gruppo di lavoro con gli esperti nominati da regioni, comuni e ministero dell'Economia. Obiettivo: definire il funzionamento del fondo nazionale che dovrà innescare il sistema dei fondi immobiliari sul territorio, per il quale il governo ha messo sul tavolo 150 milioni di euro. Come risultato, però, in tutti questi mesi è davvero un po' poco.

9 novembre 2009
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